MILONE


Milone
Milone, figlio di Diotimo, membro dell'aristocrazia crotoniate, è un personaggio storico che incarna i valori di Crotone arcaica e cioè l'atletismo e la vocazione militare, il senso aristocratico del potere politico e religioso, l'adesione al pitagorismo. Il primo aspetto è riassunto dalle numerose vittorie che dal 540 a.C. (ancora ragazzo) fino al 516 a.C. conseguì nella lotta ad Olimpia, dalle sei vittorie a Delfi nei giochi Pitici, dalle dieci vittorie nei giochi di Isthmia e nove a Nemea, tanto da essere rinomato anche presso Dario re di Persia (Erodoto III, 137) e da ottenere la dedica di una statua ad Olimpia, opera del crotoniate Dameas, che lo raffigurò come "un kouros dritto, con i piedi uniti su una base a disco, che si riteneva fosse uno scudo rotondo, la fronte cinta da una tenia, la benda del vincitore, che faceva pensare ad una sua rappresentazione nella qualità di sacerdote di Hera, mentre la mano destra distesa è il segno di devozione negli anathemata (doni votivi) arcaici. Infine nella sinistra era una melagrana o mela, premio questo per i pitionici (e Milon lo era)" (R. Spadea).
Quanto alle virtù militari si consideri che ebbe importanti incarichi militari e che da stratego condusse l'esercito di Crotone alla vittoria contro i Sibariti sul fiume Traente, vestito come Herakles e con in testa le corone delle vittorie di Olimpia (Diod. XII, 9 ,5-6).
Fu inoltre sacerdote di Hera Lacinia, evidentemente per i suoi meriti sopra ricordati.
Membro eminente del Sinedrio pitagorico che si riuniva nella sua casa, è ricordato per aver salvato la vita ai principali filosofi pitagorici dal crollo della sala in cui erano riuniti. Milone si sarebbe sostituito ad una colonna permettendo loro così di mettersi in salvo (Strabone VI, 12, 263). Riguardo alla sua morte, avvenuta fuori città, le fonti antiche (Pausania e Strabone), concordando tra loro, ci informano che "un giorno mentre attraversava una profonda foresta deviò di molto dal sentiero; poi imbattuttosi in un grosso tronco d'albero nel quale erano piantati dei cunei vi cacciò mani e piedi nelle fenditure e fece forza per spaccarlo completamente, ma riuscì solo a far cadere i conci e subito le due parti del tronco si rinserrarono ed egli impigliato in questa specie di trappola finì sbranato da belve feroci " (Strabone VI, 12, 263).

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